Classificazione delle malattie mentali
 

Diversi sono stati i sistemi di classificazione introdotti nel campo psichiatrico in questi ultimi dieci anni, sistemi prima approvati e poi aboliti a causa della loro poca attendibilità. Esigenza persistente nella psichiatria è quella di disporre di un valido schema nosografico, quale solida base per lo studio epidemiologico e per l'assistenza. I diversi metodi classificativi proposti sono però ancora molto lontani da raggiungere tale obiettivo.
Il sistema classificativo che è in grado più di tutti gli altri di avvicinarsi ad un sistema nosografico è quello proposto nel 1980: il DSM III. La formulazione è frutto di un approccio pragmatico e descrittivo. Il DSM propone inoltre il recupero dell'osservazione clinica e della prescrizione. Non utilizza il termine "malattia", bensì quello di "disturbo" intendendo con esso una sindrome comportamentale o psicologica ricondotta ad una presupposta disfunzione psicologica o biologica. Le novità di maggior rilievo introdotte dal DSM sono rappresentate dai criteri diagnostici e dal sistema multiassiale.
I precedenti sistemi classificativi non fornivano criteri espliciti, cosicché il medico doveva affidarsi al giudizio "clinico" per la formulazione diagnostica. Il DSM fornisce specifici criteri di inclusione e di esclusione per la diagnosi, che riconducono al minimo l'interferenza soggettiva e consentono così un alto indice di concordanza diagnostica tra operatori diversi. Nel DSM si sottolinea inoltre che i criteri diagnostici non devono sostituirsi all'esperienza clinica, ma devono essere intesi come un ausilio nel fare diagnosi. Questo sitema di classificazione propone anche un sistema diagnostico multiassiale che permette di raccogliere molteplici dati utili alla valutazione globale del singolo caso. Questo sistema multiassiale (5 assi) consente infatti di avere una conoscenza più ampia del disturbo psichico e dei diversi fattori che in esso entrano in gioco.
Il sistema di classificazione DSM III ha apportato anche alcune novità nell'ambito dei rapporti nosografici e nell'ambito della terminologia. Si è arrivati così alla scomparsa del termine nevrosi. Il termine "disturbo nevrotico" nel DSM III è utilizzato in senso esclusivamente descrittivo, per connotare una patologia caratterizzata da un sintomo o da un gruppo di sintomi riconosciuti come inaccettabili ed alieni; viene persa l'implicazione (sottesa nel termine nevrosi come contrapposto a psicosi) di una eziologia psicogena, identificata nel conflitto intrapsichico e nell'attivazione dei peculiari meccanismi difensivi dell'io. 
Il DSM ha infine notevolmente ristretto i confini del disturbo schizofrenico. Questo ha apportato ad un notevole aumento dell'attendibilità di questa diagnosi, anche in virtù dell'impiego fra i criteri diagnostici di sintomi "facili da definire" ( deliri, allucinazioni, ecc.), rispetto ai sintomi "difficili da definire" (autismo, ambivalenza affettiva, ecc.).