Progressi verso la diagnosi del morbo di Alzheimer


L’Apolipoproteina E (ApoE) caratterizza la diagnosi differenziale, ma non predice () il morbo di Alzheimer


Recentemente un gene che codifica per una proteina coinvolta nel trasporto del colesterolo (ApoE) è stato identificato come associabile al morbo di Alzheimer.
in gran parte della popolazione.
Il locus dell’ApoE sul cromosoma 19 è un gene che esiste, nella popolazione, in tre differenti forme o alleli (ApoE 2, 3, 4); ogni individuo ha due copie del gene, quindi vi possono essere diverse combinazioni, ognuna delle quali influenza in modo diverso la predisposizione dell'individuo al morbo di Alzheimer.
In particolare il genotipo dell’ApoE è collegato all’età del primo attacco del morbo di Alzheimer.

Dallo studio dei risultati di un’analisi sui rapporti tra genotipo dell’ApoE, età e distribuzione del primo attacco del morbo possiamo trarre molte informazioni. Prima di tutto possiamo constatare che l’insorgere del morbo di Alzheimer in età precoce è associato alla presenza di uno o due alleli ApoE4. L’analisi evidenzia il rischio relativo di insorgenza del morbo di Alzheimer per ogni particolare genotipo alle diverse età; questo è importante perché per ogni individuo i sintomi di demenza si possono presentare ad una particolare età. Per esempio un individuo di 75 anni (genotipo ApoE4/4) ha approssimativamente il 20% di speranza di non ammalarsi; con ApoE3/4 il 40%; con ApoE3/3 oppure ApoE2/4 il 55%; con ApoE2/3 l'80%.
I dati variano a seconda dell’etnicità, quindi l’accuratezza delle stime si potrà valutare solo con ulteriori studi epidemiologici.

Il genotipo ApoE non è da considerare una caratteristica predittiva (come nel caso più familiare di alti livelli di colesterolo che sappiamo essere associati ad un maggiore rischio di malattie cardiache), nè tantomeno una diagnosi di Alzheimer: indica solo che potrebbe essere presente una predisposizione.
L’essere consapevoli di questi rischi permette di fare passi terapeutici  per prevenire o ritardare l’attacco della malattia, anche se, nel caso del morbo di Alzheimer, la scoperta di fattori di rischio è abbastanza recente e al momento non esistono terapie rilevanti. Un alto rischio non significa comunque che l’individuo si ammalerà e tantomeno che si debba fare diagnosi di Alzheimer anche se non vi sono segni di demenza: alcuni individui con ApoE4 non vengono colpiti dall'Alzheimer.

D’altra parte i dati sui geni che evidenziano eventuale predisposizione possono essere applicati come supporto in diagnosi differenziali. Questo significa che ad una persona che presenti segni di demenza è più
probabile che venga diagnosticato correttamente il morbo di Alzheimer se ci sono alti rischi per il morbo, come l’avere genotipo ApoE4/4.
Sebbene al momento non possano essere tratte definitive conclusioni dal genotipo ApoE questi dati giocheranno un ruolo fondamentale in futuro come nuovo e sicuro elemento di valutazioni nella diagnosi del morbo di Alzheimer.

Molti altri geni sono stati identificati come possibili fattori nel determinare la probabilità che un individuo venga colpito dal morbo. Varianti di questi geni sono spesso associate ad un attacco precoce e ad un’insolitamente alta incidenza di morbo di Alzheimer nelle famiglie che le presentano.
 


 



Qual è la differenza tra un test diagnostico ed uno predittivo ?
In medicina, una prova clinica o di laboratorio si può impiegare per definire il rischio che un individuo sviluppi una malattia o per aiutare nella diagnosi della malattia stessa.
In generale perché il test abbia qualche utilità, esso dovrà presentare una certa frequenza di risultati positivi (indicativi di malattia o predisposizione) nella popolazione e da una diversa frequenza di risultati positivi e negativi nella sottopopolazione dei pazienti affetti dalla malattia in esame. Più in particolare si possono classificare quattro possibili risultati: veri positivi (malati risultati positivi), falsi positivi (sani risultati positivi), veri negativi (sani risultati negativi) e falsi negativi (malati risultati negativi). Consideriamo due casi estremi:
  1. il test ha dato risultato positivo solo nel 2% dei soggetti che erano già malati al momento del test o si sono ammalati successivamente, e mai nei sani. Il test ha valore diagnostico quasi nullo, perché il risultato è quasi sempre negativo ed il 98% dei malati saranno falsi negativi, però è altamente predittivo, perché se uno è positivo è senz'altro malato o si ammalerà (non vi sono falsi positivi)
  2. il test ha dato risultato positivo nel 18% della popolazione in generale e in particolare nel 90% dei soggetti malati (che sono 1/10 della popolazione) e nel 10% dei soggetti sani o che presentano altri sintomi della malattia ma dovuti ad altre cause. E' facile calcolare che metà dei risultati positivi sono falsi positivi, pertanto Il test non ha alcun valore predittivo. Viceversa il test ha valore diagnostico in presenza di altri sintomi, perché il risultato positivo è molto meno frequente se i sintomi sono dovuti a cause diverse della malattia.