Il trattamento della
schizofrenia
La terapia farmacologica della schizofrenia è sicuramente
uno dei più classici esempi di trattamento di una patologia cronica
e processuale, con tempi diversi, problemi diversi a seconda dei tempi
e, soprattutto, la necessità di un processo terapeutico a lungo
termine. Nel progetto a lungo termine deve rientrare anche una oculata
gestione della terapia farmacologica, attenta ad effetti clinici e disturbi
iatrogeni ().
Il bersaglio principale della gestione clinica dell'esacerbazione acuta
è la riduzione e possibilmente la scomparsa dei sintomi acuti positivi
e negativi. Attualmente esistono due grandi categorie di farmaci antipsicotici
(), separate
dal diverso spettro d'azione farmacodinamico: gli antipsicotici classici
(o neurolettici) e gli atipici. Mentre nella prima categoria tutti i farmaci
sono considerati grossolanamente equivalenti in termini antipsicotici,
la seconda costituisce la vera alternativa all'interno di cui trovare ulteriori
differenziazioni farmacologiche cliniche.
La scelta del farmaco a cui il paziente preferibilmente
risponderà è suggerita principalmente dalla valutazione della
risposta passata a dosi adeguate per tempi adeguati di un dato farmaco
e dalla tollerabilità ad esso. La scelta del farmaco a priori parte
da un antipsicotico classico, preferibilmente ad alta potenza quale l'aloperidolo.
Se il quadro clinico è invece già prevalentemente di tipo
deficitario, se dalla storia del paziente emerge l'influenza negativa dei
neurolettici o è presente una intolleranza accertata a questi farmaci,
è opportuno iniziare da subito il trattamento con i farmaci atipici
quali il risperidone.
La storia e l'inquadramento farmacologico
dei farmaci antipsicotici
La definizione di dose adeguata nel trattamento acuto
è piuttosto difficile per l'impossibilità a generalizzare
gli effetti clinici e collaterali sui singoli soggetti, per la gradualità
con cui il quadro clinico si ricompone e gli effetti differenziali dello
stesso farmaco, alla stessa dose, sui diversi aspetti della presentazione
clinica. In genere una titolazione del dosaggio efficace può avvenire
nelle prime due settimane di trattamento, tenendo sempre conto dell'obbiettivo
di ottenere il massimo degli effetti clinici con le dosi più tollerate.
Una precauzione comune a tutti i farmaci antipsicotici è quella
di iniziare il trattamento con aumento di dosi giornaliere piccole nei
primi 3-4 giorni, fino ad una settimana.
Uno dei principali quesiti che il medico deve porsi nell'impostazione
di qualsiasi terapia medica ed in particolare specialistica psichiatrica
è che cosa ci si aspetta dal trattamento. Ciò è necessario
per valutare l'efficacia e il rapporto costo/beneficio al momento previsto
della valutazione degli effetti, per decidere su eventuali cambiamenti
terapeutici. Tecnicamente la valutazione può essere effettuata su
di un piano generico sulla base della condizione psicopatologica globale
del paziente o attraverso valutazione specifica, assistita da scale di
valutazione validate. In entrambi gli approcci oltre agli elementi riguardanti
il dosaggio e i tempi di risposta sopra esposti, la risposta va valutata
su parametri quali l'età, la durata di malattia, il livello di gravità
dei sintomi precedenti il trattamento, i precedenti effetti collaterali,
ma anche il livello intellettivo e culturale di partenza, che non potranno
mai essere superati anche dal più efficace trattamento farmacologico
acuto e cronico.
Nel trattamento della fase cronica la prevenzione delle
ricadute si ottiene senza problemi con i neurolettici a dosi inferiori
a quelle impiegate nelle fasi acute nei pazienti non resistenti al trattamento.
Con questa classe di farmaci però emergono alcuni limiti fondamentali:
la scarsa o nulla efficacia sui sintomi negativi cronici, la scarsa efficacia
sull'evoluzione deficitaria e il peggioramento della qualità della
vita dovuto all'importante carico di effetti collaterali. Queste difficoltà
sono un grosso limite alla possibilità di eseguire trattamenti riabilitativi
cognitivo-comportamentali volti a far recuperare al paziente le abilità
personali, sociali e lavorative perse con la patologia. Oltretutto, dato
l'importante carico iatrogenico, la riabilitazione diviene paradossalmente
parzialmente dedicata a riparare i danni provenienti dal trattamento cronico
con i neurolettici.
I farmaci atipici costituiscono la maggiore speranza
per il superamento di questi limiti. Anche per la terapia cronica valgono
le considerazioni sul dosaggio esposte per quella acuta, con una vantaggiosa
particolarità: mentre per i neurolettici durante la fase cronica
le dosi necessarie sono di solito ridotte rispetto a quelle della fase
acuta, per gli antipsicotici atipici questa indicazione non ha più
senso, dato il vantaggioso profilo degli effetti collaterali psichici e
motori; per il risperidone, in particolare, le dosi devono comunque rimanere
all'interno dell'intervallo consigliato.
Il termine iatrogeno si riferisce
ad una conseguenza della terapia: una patologia iatrogena è una
patologia che si istaura a causa e come conseguenza di un intervento terapeutico
Il termine farmacodinamica
indica il meccanismo di azione di un farmaco. Viene utilizzato per
distinguere questo aspetto dalle caratteristiche di assorbimento, durata
d'azione, eliminazione (farmacocinetica) e dalle caratteristiche
di impiego clinico e terapeutico del farmaco.
Nella classificazione tradizionale delle malattie
psichiatriche si distinguono le nevrosi o alterazioni mentali
o affettive che riconoscono un motivo psicologico scatenante (un fatto
acuto come una perdita o un lutto oppure esperienze traumatiche del passato
anche lontano, in genere relegate nell'inconscio e fonte di angoscia) e
le psicosi o malattie che non si possono ricondurre ad un
motivo scatenante psicologico e si ritiene pertanto abbiano una origine
organica. In altre parole le nevrosi sono sindromi psichiatriche reattive,
le psicosi sono sindromi psichiatriche organiche.
Le psicosi sono classificate in schizofrenia - nella quale prevalgono
disturbi del "pensiero" - e depressione maggiore (o ciclotimia o sindrome
maniaco-depressiva) - nella quale prevalgono disturbi, spesso ciclici,
dell'umore (pur essendo presenti alterazioni delle percezioni e del pensiero,
soprattutto nella sfera affettiva).
I farmaci impiegati nella schizofrenia sono definiti antipsicotici
o neurolettici, quelli impiegati nella depressione maggiore
(e solo occasionalmente nelle depressioni nevrotiche) sono definiti antidepressivi.
La distinzione nevrosi/psicosi è oggi in parte superata (v.
anche i criteri di classificazione oggi in uso)
dopo essere stata anche violentemente contestata da scuole psichiatriche
che negano la "'organicità" delle psicosi (ovvero che si debba ricercare
una causa organica - genetica, metabolica, degenerativa - per la psicosi)
Ciononostante non si può negare che nelle psicosi alcuni meccanismi
neurochimici siano alterati (la trasmissione dopaminergica
nella schizofrenia e il metabolismo di catecolamine e serotonina nella
depressione maggiore), ovvero che esistano dei riscontri organici per queste
malattie, anche se tali alterazioni non sono la causa ma un aspetto
o un meccanismo della malattia, e che farmaci che agiscono selettivamente
su tali meccanismi neurochimici siano in grado di produrre ottimi risultati
terapeutici.